INCO – GN – ITA la fine che non c’era da Poesie e racconti

Amicizia …
Davvero riuscivo ancora ad attribuirle un senso?

Non ho figli.
Quei bambini non erano miei.

Quando mai i figli sono nostri?
Anche se so che rimarrò per sempre nei loro pensieri e loro nel mio cuore.

Me ne sono andata per un semplice motivo: ho perso la fiducia nel prossimo, arrivando alla definitiva conclusione che non ci si può proprio affidare mai, a volte nemmeno a chi ci ha generato.

E siccome sono invece nata, ma soprattutto cresciuta, nutrita di fiducia, gli altri in me e io negli altri, per me il prossimo significava tutto.

Per ovvio sillogismo ero fortemente convinta d’aver perso ogni cosa; sì, perché l’ultima delirante sfumatura che intuivo mi stava letteralmente terrorizzando: sarebbe inevitabilmente arrivato il terribile momento in cui non avrei potuto fidarmi nemmeno di me stessa?

Dopotutto anch’io ero il mio prossimo!

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INCO – GN – ITA parte #3, da Poesie e racconti

Quanto tempo avevamo allora!


Sono convinta di essere stata l’unica persona a sapere che lui era un agente segreto in missione.

E anche se le sue missioni non le conoscevo affatto, io non lo tradii mai.


Una volta fece la sua inaspettata confessione anche ai bambini, certo comunque che l’avrebbero presa per un gioco originale; cosa che naturalmente avvenne visto che a tavola, con i bicchieri di vetro all’orecchio, mimavano invisibili ricetrasmittenti per inviargli significative comunicazioni di servizio: “contrordine, niente scuola domani e nei prossimi giorni, pericolo di vita, nessuno dovrà uscire dalle proprie case, agente segreto, pericolo, pericolo, u bot u bot”.

E sempre così finiva la nostra cena.

Tra risa, posate come bacchette dei grandi direttori d’orchestra e strane musiche extraterrestri suonate dalle nostre abili dita che descrivevano un cerchio perfetto sull’orlo dei bicchieri colorati.

Nessuno a quell’epoca avrebbe potuto minimamente immaginare il peggio.

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Poesie e racconti, il libro e la presentazione “niente è per caso”

La mia frase sopra la foto dice già tutto, ma desidero spendere due parole in più per ringraziare quelle persone che, grazie alle iniziative culturali che promuovono, tengono sempre viva l’arte e la sua anima.

Nel 2018 ho partecipato ad Arte e Poesia, mostra di dipinti ispirati a testi in versi, organizzata a Crema da Simone Fapanni.

Simone ha poi organizzato Essenze, poesie dipinte, tenutasi a Cremona nel 2019.

Quest’anno saremo presenti a Cremona in una veste diversa…un recital poetico.

La veste è diversa, ma lo spirito è sempre lo stesso: mantenere viva l’anima dell’arte.

La settimana precedente l’inaspettato invito di Simone, ero andata a ritirare le copie del mio libro, fresche di stampa.

Il mio amato Tom Spanbauer scriverebbe One thing leads to another oppure As fate would have it.

Io scrivo che niente è per caso.

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Dopo un lungo viaggio approdo sulle rive di una terra sconosciuta; mi guardo intorno, incerta e spaesata avanzo a piedi nudi  sulla sabbia fredda.

E’ notte, alzo gli occhi al cielo.

Il telone logoro e scuro che un vecchio saggio chiamato tempo stende ogni sera sopra l’azzurro, lascia ancora intravedere al di là del buio; è così che scorgo le minuscole luci sotto chiamate stelle.

La luna è una lama di cristallo che mi cattura e che improvvisamente diventa una sfera magica attraverso la quale riesco a distinguere ciò che mi circonda; intuisco alcune forme, ma ora il vento è caldo sulla mia pelle e confonde i miei pensieri.

Cammino ancora ed è giorno e mi meraviglio di riconoscere un fiore che pensavo non avrei più incontrato; questa volta però mi fermo a raccoglierlo e lui si sprigiona in tutta la sua sensibilità, mentre intorno ogni cosa si colora come per magia.

I bambini ridono e corrono scalzi per le strade, le donne hanno la loro gioia nel cuore i gli uomini le abbracciano spensierati.

La musica invade l’aria e s’impossessa di me espropriata.

Le onde del mare mi si buttano addosso … ancora … una dopo l’altra mi scuotono e fanno vibrare il mio corpo e mi trascinano giù.

I battiti del mio cuore aumentano ed il sangue scorre più veloce nelle mie vene.

Mi manca il respiro e allora su …. prendo l’aria a pieni polmoni; la voglio tutta e le mie braccia si muovono dentro le onde, mentre le mani accarezzano la superficie dell’acqua.

Sono completamente avvolta, le mie gambe avvinghiano l’impossibile, la mia mente si perde tra i sussurri prima ed il respiro affannato poi.

Il sorriso è totale, la luce dominante.

Mi lascio cullare

                                               trasportare

                                                                                 galleggio

                                                                                                                                 svanisco

 

INCO – GN – ITA 141208

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A quei tempi venivo accuratamente nascosta sotto falso nome.

Mi chiamavo Pablo, anche se ancora non potevo saperlo.

Ero bellissima.

Una sera mi regalò perfino una parrucca, lunghi capelli castani con riflessi colore dell’oro, così, nell’evenienza tutto fosse poi stato scoperto, io avrei potuto giustificare il fatto confessando di essere un/una trans “che non ce la fa davvero più a stare nella propria pelle”.

Ci capitava di ridere per stupidaggini di poco conto come questa ed eravamo così bravi ad ironizzare su tutto; in realtà c’era poco da stare allegri : eravamo una “coppia clandestina” e quindi privi di libertà, e alcuni sanno bene quanto si aneli alla libertà specialmente in tali frangenti, ma soprattutto se già allora fossimo venuti a conoscenza delle conseguenze del caso.

Quella sera era un inverno come tanti altri per tutti ma non per noi, per noi era un inverno davvero speciale, era il nostro inverno.

All’uscita del negozio dove avevo provato l’acconciatura che più si addiceva al mio viso, lui mi abbracciava per strada cingendomi la vita, mi guardava negli occhi sorridendomi fino giù in fondo al cuore, proprio nel punto dov’è più buio e ci si smarrisce.

Fu così che io ritrovai me stessa ma persi la strada per tornare indietro.

Diventai sua complice.

Inutile dire che, e perché, inizialmente tentai di oppormi a gran fatica con tutte le mie forze.

Camminavamo ubriachi dentro ad un fluido sotto le luci di natale della città; i nostri sensi, tutti e cinque anzi sei o forse addirittura sette senza esagerare, ci stordivano lasciandoci in quello stadio di galleggiamento dove davvero e non a parole il mondo è più leggero.

“Un corpo che riceve una spinta verso l’alto”…. com’era quella legge fisica? “La forza che agisce sul corpo dal basso verso l’alto è diretta in verso opposto rispetto alla forza peso quindi riduce l’effetto di quest’ultima; come conseguenza di ciò, il peso di un corpo immerso nell’acqua, o in generale in un fluido, appare inferiore a quello dello stesso corpo nell’aria”.

Insomma, mancava la forza di gravità sotto i nostri piedi, nella nostra testa non c’era spazio per i fatti gravi che sarebbero poi invece inevitabilmente accaduti… quanto tempo avevamo allora!

Sono convinta di essere stata l’unica a sapere che lui era un agente segreto in missione, e anche se la missione non la conoscevo affatto, io non lo tradii mai.

Una volta fece la sua confessione anche ai bambini, certo comunque che l’avrebbero presa per uno scherzo, cosa che naturalmente avvenne visto che a tavola, con i bicchieri all’orecchio, mimavano invisibili ricetrasmittenti per inviargli importanti comunicazioni di servizio : “contrordine, niente scuola domani e nei prossimi giorni, pericolo di vita, nessuno dovrà uscire dalle proprie case, ripeto agente segreto, pericolo, pericolo, u bot u bot….”.

E così finiva la cena tra risa, posate come bacchette dei direttori d’orchestra e musiche extraterrestri suonate dalle nostre dita che descrivevano un cerchio sull’orlo dei bicchieri.

Nessuno a quell’epoca avrebbe potuto neanche minimamente immaginare il peggio.

Sì, perché fu più tardi e all’improvviso che, nonostante gli anni trascorsi a fare del nostro meglio, lui per le sue missioni importanti che ormai non gli concedevano più tempo né spazio, ed io per cercare di rendere migliore il suo tempo quando stavamo insieme e più ampi i suoi spazi sottraendoli piena di cieca fiducia ai miei (non è forse vero che per un amico si dovrebbe sempre fare di più?), tutto accadde in meno di un batter d’ali senza che nessuno potesse fare nulla per impedirlo.

Mille domande senza mai fine, conclusioni incerte, vacillanti e soprattutto dubbi inutili.

Una missione finita male? Un’importante partita persa che l’aveva lasciato senza speranze? Una scelta sbagliata che l’aveva costretto alla fuga? La costante preoccupazione di essere definitivamente scoperto, messo a nudo, braccato, senza più via di scampo? Un errore che aveva ripetuto e che l’aveva messo con le spalle al muro? O aveva semplicemente preferito lasciare tutto e tutti perché soggiogato da situazioni divenute per lui insopportabili?

Non lo so, è la parte che non conosco. E non voglio più saperlo, ci ho perso tante energie indispensabili alla sopravvivenza nel luogo in cui mi trovo.

Temo che l’età, il tempo che trascorre inesorabile lasciando le sue tracce ovunque, sia stato il suo vero punto debole, il suo tallone d’Achille, anche se questo lui non l’avrebbe mai voluto lasciar trasparire; il suo senso della relatività non era mai esistito? O era semplicemente venuto meno?

Ora lui è lontano, molto probabilmente su un’isola sperduta in attesa di istruzioni per proseguire, anche se io preferisco immaginarlo mentre cammina tra la folla di una caotica grande città con quel suo passo sicuro e la faccia accigliata, in procinto di organizzare al meglio una nuova missione.

Per quanto riguarda me, ho lasciato la città dopo pochi giorni dalla sua partenza- chiamarla scomparsa mi fa sentire tutto il peso della vita che passa-, giusto il tempo di cedere ad altri il posto di lavoro che occupavo instancabile da un tempo che per me a questo punto era divenuto davvero troppo, e insopportabile, fare i dovuti passaggi di proprietà, salutare i miei cari-mi ci volle una forza indicibile per rassicurarli che là dove andavo avrei avuto un aeroporto a portata di mano- ed i pochi amici che sentivo vicini…. Amicizia… davvero riuscivo ancora ad attribuirle un senso?

Non ho figli… quei bambini non erano miei-quando mai i figli, i bambini, sono nostri?-anche se so che rimarrò per sempre nei loro pensieri e loro nel mio cuore.

Me ne sono andata per un semplice motivo : ho perso la fiducia nel prossimo, arrivando alla conclusione che non ci si può proprio fidare/affidare mai, a volte nemmeno di chi ci ha generati.

E siccome sono invece nata, ma soprattutto cresciuta, nutrita di fiducia, gli altri in me ed io negli altri, per me il prossimo significava tutto, me inclusa.

Per sillogismo ero convinta di aver perso tutto; sì perché l’ultima delirante sfumatura che intuivo mi stava letteralmente terrorizzando: sarebbe arrivato il momento in cui non avrei potuto fidarmi nemmeno di me stessa??? Dopotutto anch’io ero il mio prossimo!

Disarmata. storia vera 22708

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La sua auto mi aspettava nella piazzetta in fondo al vicolo che portava all’ingresso della casa che allora chiamavo il mio rifugio dal mondo.

Ero emozionata ed eccitata all’idea di uscire con un amico che non vedevo da anni.

Uscii impaziente e sulle scale ebbi l’impressione di volare; un brivido mi percorse la schiena…. ma ancora non mi rendevo conto di quanto desiderassi quell’incontro.

***

Quando uscimmo dal ristorante lui improvvisamente mi chiese un bacio; era sorridente e si muoveva rilassato.

Rimasi sorpresa e bloccata, ma avvertivo distintamente la sua voglia di entrare in contatto con il mio corpo ora che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.

I pensieri si rincorrevano veloci nella mia testa; mi sentivo timida e impaurita, al contempo leggera e stranamente libera….una libertà che non ricordavo più.

Le emozioni rimbalzavano dentro di me, i miei sensi cercavano una via d’uscita ma riuscii a controllarmi ed a rifiutare il contatto che in quel momento non capivo se era desiderato o solo immaginato.

La cosa più strana però è che non c’era imbarazzo.

Come i toni delle nostre risate, la complicità cresceva pian piano e a piccoli passi, anche se i corpi si avvicinavano inesorabilmente.

***

Poi, mentre percorrevamo il viale che conduceva alla riva del lago, mi voltai verso di lui disarmata e, sorridendo, la sua bocca si appoggiò sulle mie labbra.

*** forever under construction

La mia amica scrive. 181008. (da l’amicizia è un’anima che vive in due corpi)

 

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La mia amica – sempre lei con gli occhi colore azzurro del mare quando c’è il sole, non quando le nuvole offuscano il cielo o quando piove, solo quando il sole splende in alto e brilla forte e colora tutto di una luce diversa, ecco insomma tutto bianco intorno e azzurro intenso al centro … o viceversa (perché tutto l’azzurro che vediamo non sarebbe azzurro senza il sole) – la mia amica soltanto allora riesce a respirare, e se è vero che è il respiro a tenerci in vita, allora è per forza vero che è solo scrivendo che lei vive…non può essere così davvero sé stessa in altro luogo.

 

Dice che non può… e io so che è come lei dice.

 

E’ lì che lei riesce ad esprimersi per intero raccontando le cose terribili di sé, a staccare il ricordo del presente e tutti i fili che si collegano al passato…. o viceversa… come in uno specchio…

 

Quel mondo virtuale che per incanto le nasce dentro mentre si tuffa nelle sue pagine bianche, affonda subito le radici nel terreno che la circonda e dal profondo, velocemente, ineluttabili, arrivano rami robusti che la proteggono.

 

Ecco il suo rifugio.

 

Finalmente libera.

 

Tutto diventa plausibile, vivibile, sopportabile, anche il falso piano.

 

E, sopra ogni cosa, lì, solo lì lei può finalmente dire tutto, tutto ciò che vuole e che può, che non ha mai potuto dire, che non può dire, che “non si può dire !!”…… come lei sai fare

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