
A quei tempi venivo accuratamente nascosta sotto falso nome.
Mi chiamavo Pablo, anche se ancora non potevo saperlo.
Ero bellissima.
Una sera mi regalò perfino una parrucca, lunghi capelli castani con riflessi colore dell’oro, così, nell’evenienza tutto fosse poi stato scoperto, io avrei potuto giustificare il fatto confessando di essere un/una trans “che non ce la fa davvero più a stare nella propria pelle”.
Ci capitava di ridere per stupidaggini di poco conto come questa ed eravamo così bravi ad ironizzare su tutto; in realtà c’era poco da stare allegri : eravamo una “coppia clandestina” e quindi privi di libertà, e alcuni sanno bene quanto si aneli alla libertà specialmente in tali frangenti, ma soprattutto se già allora fossimo venuti a conoscenza delle conseguenze del caso.
Quella sera era un inverno come tanti altri per tutti ma non per noi, per noi era un inverno davvero speciale, era il nostro inverno.
All’uscita del negozio dove avevo provato l’acconciatura che più si addiceva al mio viso, lui mi abbracciava per strada cingendomi la vita, mi guardava negli occhi sorridendomi fino giù in fondo al cuore, proprio nel punto dov’è più buio e ci si smarrisce.
Fu così che io ritrovai me stessa ma persi la strada per tornare indietro.
Diventai sua complice.
Inutile dire che, e perché, inizialmente tentai di oppormi a gran fatica con tutte le mie forze.
Camminavamo ubriachi dentro ad un fluido sotto le luci di natale della città; i nostri sensi, tutti e cinque anzi sei o forse addirittura sette senza esagerare, ci stordivano lasciandoci in quello stadio di galleggiamento dove davvero e non a parole il mondo è più leggero.
“Un corpo che riceve una spinta verso l’alto”…. com’era quella legge fisica? “La forza che agisce sul corpo dal basso verso l’alto è diretta in verso opposto rispetto alla forza peso quindi riduce l’effetto di quest’ultima; come conseguenza di ciò, il peso di un corpo immerso nell’acqua, o in generale in un fluido, appare inferiore a quello dello stesso corpo nell’aria”.
Insomma, mancava la forza di gravità sotto i nostri piedi, nella nostra testa non c’era spazio per i fatti gravi che sarebbero poi invece inevitabilmente accaduti… quanto tempo avevamo allora!
Sono convinta di essere stata l’unica a sapere che lui era un agente segreto in missione, e anche se la missione non la conoscevo affatto, io non lo tradii mai.
Una volta fece la sua confessione anche ai bambini, certo comunque che l’avrebbero presa per uno scherzo, cosa che naturalmente avvenne visto che a tavola, con i bicchieri all’orecchio, mimavano invisibili ricetrasmittenti per inviargli importanti comunicazioni di servizio : “contrordine, niente scuola domani e nei prossimi giorni, pericolo di vita, nessuno dovrà uscire dalle proprie case, ripeto agente segreto, pericolo, pericolo, u bot u bot….”.
E così finiva la cena tra risa, posate come bacchette dei direttori d’orchestra e musiche extraterrestri suonate dalle nostre dita che descrivevano un cerchio sull’orlo dei bicchieri.
Nessuno a quell’epoca avrebbe potuto neanche minimamente immaginare il peggio.
Sì, perché fu più tardi e all’improvviso che, nonostante gli anni trascorsi a fare del nostro meglio, lui per le sue missioni importanti che ormai non gli concedevano più tempo né spazio, ed io per cercare di rendere migliore il suo tempo quando stavamo insieme e più ampi i suoi spazi sottraendoli piena di cieca fiducia ai miei (non è forse vero che per un amico si dovrebbe sempre fare di più?), tutto accadde in meno di un batter d’ali senza che nessuno potesse fare nulla per impedirlo.
Mille domande senza mai fine, conclusioni incerte, vacillanti e soprattutto dubbi inutili.
Una missione finita male? Un’importante partita persa che l’aveva lasciato senza speranze? Una scelta sbagliata che l’aveva costretto alla fuga? La costante preoccupazione di essere definitivamente scoperto, messo a nudo, braccato, senza più via di scampo? Un errore che aveva ripetuto e che l’aveva messo con le spalle al muro? O aveva semplicemente preferito lasciare tutto e tutti perché soggiogato da situazioni divenute per lui insopportabili?
Non lo so, è la parte che non conosco. E non voglio più saperlo, ci ho perso tante energie indispensabili alla sopravvivenza nel luogo in cui mi trovo.
Temo che l’età, il tempo che trascorre inesorabile lasciando le sue tracce ovunque, sia stato il suo vero punto debole, il suo tallone d’Achille, anche se questo lui non l’avrebbe mai voluto lasciar trasparire; il suo senso della relatività non era mai esistito? O era semplicemente venuto meno?
Ora lui è lontano, molto probabilmente su un’isola sperduta in attesa di istruzioni per proseguire, anche se io preferisco immaginarlo mentre cammina tra la folla di una caotica grande città con quel suo passo sicuro e la faccia accigliata, in procinto di organizzare al meglio una nuova missione.
Per quanto riguarda me, ho lasciato la città dopo pochi giorni dalla sua partenza- chiamarla scomparsa mi fa sentire tutto il peso della vita che passa-, giusto il tempo di cedere ad altri il posto di lavoro che occupavo instancabile da un tempo che per me a questo punto era divenuto davvero troppo, e insopportabile, fare i dovuti passaggi di proprietà, salutare i miei cari-mi ci volle una forza indicibile per rassicurarli che là dove andavo avrei avuto un aeroporto a portata di mano- ed i pochi amici che sentivo vicini…. Amicizia… davvero riuscivo ancora ad attribuirle un senso?
Non ho figli… quei bambini non erano miei-quando mai i figli, i bambini, sono nostri?-anche se so che rimarrò per sempre nei loro pensieri e loro nel mio cuore.
Me ne sono andata per un semplice motivo : ho perso la fiducia nel prossimo, arrivando alla conclusione che non ci si può proprio fidare/affidare mai, a volte nemmeno di chi ci ha generati.
E siccome sono invece nata, ma soprattutto cresciuta, nutrita di fiducia, gli altri in me ed io negli altri, per me il prossimo significava tutto, me inclusa.
Per sillogismo ero convinta di aver perso tutto; sì perché l’ultima delirante sfumatura che intuivo mi stava letteralmente terrorizzando: sarebbe arrivato il momento in cui non avrei potuto fidarmi nemmeno di me stessa??? Dopotutto anch’io ero il mio prossimo!